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Public Image Interview 4.1.2007
 

D: Poiché non credo che una buona idea come questa possa nascere dal nulla, vi chiedo quali sono le condizioni e le premesse che vi hanno portato all’ideazione di questa iniziativa?

R: Quindici anni di lavoro e la voglia di “parlare” un po’ di noi al mondo (visto che parliamo sempre per conto dei nostri clienti).

D: Che tipo di vantaggi pensate di ottenere, in primo luogo proprio per la vostra azienda e poi rispetto alla concorrenza?

R: Di essere fischiati da tanti e applauditi, magari da pochi, ma in ogni caso che se ne parli.

D: In che modo viene a configurarsi il rapporto con il cliente?

R: La relazione è sempre di più spinta verso una integrazione con gli obiettivi del committente, siano essi commerciali o istituzionali, contestualmente la consapevolezza di una reciproca “alfabetizzazione” ci rende consulenti e apprendisti allo stesso tempo: le teorie e le tecniche della comunicazione e del marketing devono integrarsi con la realtà quotidiana della piccola e della media impresa e alle logiche della legge 150 secondo le interpretazioni del dirigente di turno.

D: Quali differenze ci sono rispetto al modo di lavorare che adottavate in passato?

R: In quindici anni abbiamo visto maturare una consapevolezza sia nelle PMI che negli Enti della comunicazione, nelle prime l’esigenza di sganciarsi da logiche terziste ha creato e rafforzato esigenze di comunicazione ( che si sono evolute dal btl all’advertising, anche se timidamente), nella PA gli indirizzi della legge 150 sono stati recepiti in modo variopinto, per cui il nostro ruolo passa, di volta in volta, da consulente a mero trascrittore di editti a seconda del committente, ma crediamo che anche in questo settore una regolamentazione consapevole dell’uso della comunicazione avvierà una nuova fase nell’uso della stessa.

D: Inoltre vorrei sapere cosa pensate riguardo ad una questione che oggi, viene molto spesso sollevata nel mondo della Comunicazione e più nello specifico in quello della Pubblicità, cioè la carenza di creatività, per cui alcuni pubblicitari d’oltre oceano hanno affermato che non è colpa dei clienti se la creatività non va avanti, ma delle agenzie che sono poco preparate e poco propositive.

R: Lo stress verso il time to market si sente sempre di più, poco tempo per pensare e via sfornare l’idea come se fosse un panino, e l’agenzia diventa un discount creativo. Il problema esiste ma vedo anche tante piccole agenzie ricche di idee ( botti piccole e vino buono) che riuniscono creativi enduro e pensatori stanchi e si fanno avanti, e poi c’è la rete…

D: Ed infine, l’impostazione della vostra agenzia si avvicina più all’approccio scientifico e meccanicistico di Ogilvy: dove vi è la forte convinzione della necessità di capire profondamente il consumatore e la visione del pubblico come un insieme di persone desiderose di promozione sociale, da spingere a desiderare il prodotto quale simbolo e mezzo d’innalzamento, secondo una tecnica di snob appeal; oppure si avvicina più alla scuola di Bernbach che sostiene: “la pubblicità è persuasione e si dà il caso che la persuasione non sia una scienza ma un’arte” e che la creatività vada applicata ancor prima che al messaggio alla strategia di comunicazione?

R: Nessuno dei tre e tutti e tre, non esiste una regola per una piccola agenzia di provincia, ma tutte sono valide a seconda del cliente e del progetto, nel rispetto degli obiettivi e delle dimensioni del budget.

Per il testo completo dell`intervista:
http://www.comunitazione.it/leggi.asp?id_art=2538&id_area=213&mac=5


Vittorio D`Amore
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